La Scuola del Vento
Liceo alla Scuola del Vento
Bisogna andarci nei luoghi per vedere, tra la gente per capire. Per questo certe volte è necessario che le scuole escano dalle aule, soprattutto quei licei che guardano alla formazione pedagogica o ai mutamenti della società.
Così il Lucrezia Della Valle, che già aveva visitato la scuola elementare Don Milani di Lamezia, quale polo d’eccellenza dell’educazione primaria, ha voluto guardare dove è difficile rivolgere lo sguardo, cioè al destino degli ultimi, quelli che la società distratta ha respinto ai suoi margini. Una classe del liceo si è recata presso la Scuola del Vento, esperienza didattica e sociale costruita da volontari dentro il campo rom sulle rive del Crati.
L’aula è una baracca di legno, in mezzo alle altre costruite pure esse con materiale improbabile. Ad accogliere gli studenti c’erano i rappresentanti delle associazioni di volontariato che operano nella comunità rom e naturalmente gli abitanti del villaggio.
Sorrisi e calore umano sono stati sufficienti a sciogliere il ghiaccio, mentre gli studenti avevano portato album, quaderni, colori, cioè quanto è minimamente necessario per rendere viva un aula di scuola, ovunque essa si trovi. Bambini non ce n’erano, perché la mattina vanno a scuola, come è giusto che sia, mentre la Scuola del Vento si riempie di pomeriggio, quando i volontari fanno opera di potenziamento delle lezioni, una sorta di doposcuola finalizzato a migliorare le conoscenze dei bambini rom, ma pure a sottrarli al degrado attraverso attività ludiche e didattiche.
Il lavoro di questi volontari era la vera lezione cui gli studenti del Lucrezia Della Valle hanno assistito, essendo una realizzazione concreta di mediazione culturale paritaria, un confronto di esperienze diverse e impegnate a conoscersi. Dal punto di vista metodologico, il lavoro dei volontari si basa sulla coniugazione dell’approccio teorico con la realizzazione pratica di lavori legati alla spiccata creatività dei bambini rom. Ma un’altra lezione attendeva gli studenti visitatori, quella che raccontava una realtà a loro in gran parte sconosciuta o vista solo in qualche reportage. Il degrado della estrema periferia, a tutti nota e tuttavia ipocritamente ignorata, la precarietà di vite affidate a baracche senza alcun servizio, l’immagine di donne eternamente impegnate nel fare il bucato, con poveri panni sospesi su strade di fango e terra. L’esclusione sociale era uscita dalle pagine dei libri di testo per materializzarsi di colpo. Sul campo rom pende la scomunica dello sgombero annunciato, ma come scrive Erri De Luca, “Potete respingere, non riportare indietro… quelli che vanno a piedi non possono essere fermati”
Michele Giacomantonio