Recensioni
B.D.D., missione compiuta!
Casa delle Culture gremita di pubblico per la presentazione, centinaia di copie vendute in dieci giorni, tanti i giudizi critici positivi. Non mancano quelli negativi. Soprattutto, riempie di soddisfazione vedere che il romanzo viaggia anche tra le mani di lettori non sempre abituati a divorare narrativa.
Ripubblichiamo recensioni e servizi apparsi su - Fatti al Cubo, Calabria Ora, il Quotidiano, Gazzetta del Sud, Cosenza Sport, RLB, politicamentecorretto.com
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Luca Benvenga:
Affiorano egregiamente pillole di storia calabra, spunti d'analisi sulla terrace culture (stando alla definizione di Valerio Marchi) ed uno studio sulla fenomenologia, comunicazione e semiotica del potere. Un mix stordente... come un doppio cubalibre....al prozac.
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Nicola Fiorita:
Penso che partecipare alla presentazione di un testo sia sempre un’occasione speciale di leggere con attenzione un libro. In questo caso, poi, si tratta di un libro che probabilmente non avrei letto, trattandosi di una di quelle tante pubblicazioni che facilmente ci sfuggono, che non arrivano in tutte le librerie, o che ci restano poco, che non si possono avvalere di un grande battage pubblicitario. Una di quelle pubblicazioni che invece vanno lette perché lasciano un segno, perché costringono a fare i conti con quello che non ascoltiamo normalmente, voci dissonanti e quindi preziose rispetto al coro dell’informazione conformista.
Ciò detto, occorrerebbe subito dire che cos’è questo libro. Ma non si tratta di un’operazione così facile. Non un giallo, non un noir (anche se è dalla parte dei cattivi), non un romanzo, non un’inchiesta. Per Blocco 52, il libro che ho scritto con alcuni amici, qualcuno ha coniato la definizione di oggetto letterario non identificato che credo si presti ad essere utilizzata anche in questo caso.
Un oggetto letterario non identificato che ha come sua principale caratteristica quella di raccontare la vita reale, il flusso delle cose non straordinarie, non eroiche e nemmeno le più drammatiche o misere. Qui c’è l’odore della vita, non c’è un protagonista bellissimo ed invincibile di cui innamorarsi, non c’è un lieto fine e nemmeno un colpo di scena dietro l’angolo di un capitolo, ci sono le persone, quelle in carne ed ossa con i loro sogni, con le loro amarezze e con la loro coscienza. Perché quello che unisce i protagonisti del libro è proprio quello di avere una personalità, una coscienza, un ideale – piccolo o grande che sia – per cui vale la pena fare qualcosa.
Ma i veri protagonisti del libro sono Cosenza e il Cosenza, la città con le sue ansie di rivolta e la squadra di calcio con la sua curva a darle anima e fiato, a rendere il calcio qualcosa di più un semplice sport in cui ventidue uomini in calzoncini corti corrono dietro ad un pallone.
Ora qui la questione per me si fa complicata. Io ho sempre inteso il calcio come un fenomeno collettivo, un aggregato di emozioni, vita, socialità, un fattore di cambiamento o di reazione a seconda dei tempi. Il calcio per me non è mai stato uno sport, è stato un pezzo della mia vita e un pezzo del mio immaginario: ideologico, politico, sentimentale. Ma tutto questo per me ha un nome, Catanzaro, che è il nome speculare e avverso – il nemico per antonomasia – dell’immaginario che anima questo libro. Tanti anni fa questo libro non avrei potuto leggerlo e tanto meno presentarlo, ma oggi mi fa piacere essere qui e questo significa alcune cose.
Sono poco più grande di Claudio, ho frequentato le curve quasi nello stesso periodo temporale, sono stato un ultras come lui, ho respirato la stessa aria di comunità, di gruppo, di mentalità, direbbero i miei amici catanzaresi. Ho visto a Catanzaro nascere un’egemonia fascista in curva, falsificare una storia, costruire a tavolino degli eroi e soprattutto ho visto nascere la rivalità tra Catanzaro e Cosenza. Riconosco nelle parole di Claudio la rivendicazione di un’appartenenza e di una diversità, l’orgoglio di chi ha saputo tracciare percorsi anticonformisti e so che l’esperienza raccontata in questo libro ha alimentato una cultura alternativa e ha sostenuto pratiche di cambiamento. Eppure, devo cogliere questa occasione per chiedere a Claudio se non gli sembra che l’assurda nascita della rivalità tra Catanzaro e Cosenza non si fondasse sul reciproco bisogno di un nemico. Eravamo allora quello che facevamo ma anche quello che odiavamo. E devo chiedergli se questo bisogno spasmodico di un nemico non fosse poi funzionale al sistema, non alimentasse la repressione, non chiudesse la diversità in un ghetto. E’ quello che mi ha sempre frenato dall’adesione totale ai centri sociali o da gruppi estremamente chiusi, che per l’appunto recintavano la propria diversità e la facevano diventare un nuovo conformismo. Nel libro i protagonisti identificano con lucidità i loro veri nemici: i poteri occulti, i grandi potentati, le reti massoniche di interessi e scambi, e forse non sempre, o perlomeno non tutti, hanno saputo comprendere che era contro quelle reti che bisognava e bisognerebbe indirizzare la rabbia e l’energia. Claudio aggiunge altro ancora, ci dice che non è nemmeno la ‘ndrangheta il vero nemico (p. 90) e qui devo dire che condiviso la sua analisi che arriva all’improvviso, come spesso capita in questo libro. Nel caso specifico in una mail apparentemente poco importante si cela una lettura significativa e rilevante della società calabrese.
Torno al libro per dire che ho apprezzato molto la capacità di mescolare alla narrazione elementi di storia, di politica, di cultura. Questo è un libro sull’omicidio di una squadra di calcio, ma è anche un libro su Cosenza e sulla sua storia – i fratelli bandiera, il Gramna, i valdesi, ecc… Ma è anche un libro che con estrema leggerezza fa i conti con alcuni grandi mali della nostra contemporaneità: la precarietà, la trasformazione della sessualità (che ormai si fa e non si vive), il conformismo e l’indifferenza, la carità che sostituisce la solidarietà.
Un parola infine sul professore Lucio Spina, che a me ricorda un po’ il Dattilo di Blocco 52. Me lo ricorda perché entrambi sono anime in movimento, uomini non rassegnati ad una visione burocratica delle vita, calabresi testardi che non si sono ancora annoiati di stare dal lato giusto delle cose: il lato di chi perde.
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Iole Perito:
Come una cipolla che si sfoglia velo dopo velo, o come una bambola matrioska che – pezzo su pezzo – scopre brandelli/fotogrammi di esistenze reali, inzuppate nel liquore del surreale, B.D.D. di Claudio Dionesalvi è il mosaico delle tessere sterminate di una città sospesa nella foschia dei suoi tanti troppi sottoboschi. E proprio la definizione di mosaico, che appartiene a Salvatore Iaccino alias “Aciaddru” (probabilmente anche lui uno dei personaggi del libro coperti da nomi inventati e dall’iniziale rassicurazione a tutela legale che queste pagine sono “frutto di fantasia e che eventuali riferimenti a fatti o persone sono puramente casuali”), è il termine che più è piaciuto all’autore: “Una sintesi perfetta”, ha precisato Dionesalvi nel corso della presentazione in un’affollatissima Casa delle Culture.
Claudio Dionesalvi, classe ’71 e una visione avanguardistico-anticonvenzionale delle cose (ma con un porsi da diplomatico inglese se si trova a con-trattare con potenti e ufficiali pluri medagliati) è un guascone nella vita e negli scritti. Serissimo giullare (l’ossimoro è voluto) che si prende gioco dei sistemi precostituiti con la forza di una penna talentuosa e la verità di un vissuto per cui tanto ha inspiegabilmente pagato per episodi che in una società giusta gli sarebbero valsi solo menzioni d’onore. Dionesalvi ha la capacità di stare in equilibrio sul filo sottile che divide il bene dal male, di riuscire a parlare coi malamenti, i miseri, gli ultimi, i dannati, come con i capi di Stato e i monarchi utilizzando eguale espressione di viso ed eguale linguaggio di penna.
B.D.D. è il romanzo dell’utopia che si compie quando le speranze utopiche paiono per sempre perdute e, per questo – come recita il sottotitolo -, è il romanzo degli anni Zero.
È un viaggio racchiuso in scatole cinesi (e non certo quelle tristemente utilizzate dalle cronache per indicare truffe aziendali solàndo fisco e lavoratori), ma scatole cinesi nel senso di una scrittura che si apre incastrando e scoprendo man mano uomini che a varie latitudini sociali hanno fatto la storia di una città del sud con una unicità soltanto sua com’è quella della città di Cosenza. Però si tratta “dell’altra” storia, quella che nessuno può normalmente raccontare usando la sua vera identità. Più si scorrono i righi, più si gira pagina, più si viene assaliti dall’angoscia di essere perennemente imprigionati nell’occhio del grande fratello, diretto in questo caso non da una fascinosa soubrette ma da apparati che, sovvenzionati dai contribuenti, lavorano per pedinare, scrutare, spiare, appuntare, re-la-zio-na-re. Che poi, magari, stavi semplicemente recitando nella tua auto la solita parte dello sbruffone perché sei nato guascone o pallista e ti piace respirare d’ironia, tant’è che ci campi, parlando con ironia. Ma finisci così in un’informativa della digos o nell’indagine di un solerte Pm, carte protette (sulla carta) dalla riservatezza, che puntualmente finiranno fra le carte di un avvocato o del caposervizio di un quotidiano filo-Procura della Repubblica.
In virtù di questo copione visto e rivisto, ogni capitolo/flash back di B.D.D. regala originali passaggi ironici e sarcastici, senza moralizzare nel fraseggio (giammai moralizzare sui moralizzatori!), bensì svelando piuttosto eventi che inquietano appunto perché presumibilmente ispirati al reale. C’è ovunque, nei nostri ambienti, un Giannino di turno, per fortuna. Colui che conosce segreti, nomi, misfatti di ciascun luogo e che, sfortunatamente, vaga solitario e inascoltato come i folli, relegato al ruolo di scemo del villaggio.
Lo stile di Claudio Dionesalvi non si snatura del suo taglio asciutto e giornalistico neppure quando è romanzato, capace di intrecciare un narrato di contenuti variegati sotto l’unico cielo dello svelamento, vale a dire quello che induce alla verità. Poche eccezioni di nomi vengono citate con il loro nome effettivo, a indicare l’amore nostalgico per il tempo che fu, come nell’esempio della mitica sala giochi Matriarca, crocevia di amicizie, amori giovanili, sbandate adolescenziali dove non esistevano figli di papà e figli di operai, pur esistendo eccome, all’epoca, queste differenze.
Non “nominare” quasi mai col suo nome, vuol dire sì proteggere entro i confini della privacy, ma implicando soprattutto una traslazione universale delle cose e delle azioni. Interessante sarebbe il riscontro del lettore che non è nato in questi posti, che non deve passare davanti al Palazzo di Giustizia avvertendo il brivido dell’inquieto, che non ha respirato il piscio dei bagni del San Vito.
L’utopia in B.D.D. dunque si compie sul serio alla fine, e non è l’utopia della missione portata a termine dal gruppo scanzonato degli idealisti incazzusi e temibili che sfidano l’ignoto dei poteri forti cittadini, no. Non è controsenso che si compia “questa” utopia materializzata nel dossier lasciato volare fatalisticamente sugli spettatori dello stadio da una prepotente folata di vento dopo che il piano è fallito. Non è una contraddizione in termini o il paradosso analistico di una trama fantasiosa o fantascientifica, qui, quindi, che l’utopia si compia. Al contrario: l’utopia messa a segno da Dionesalvi è “nel mentre”, sta nella tensione a ciò che vale la pena affrontare nonostante il male oscuro che avvolge e spinge in retromarcia le nostre propositive volontà di denunciare e, ancora, di “svelare” (nell’accezione più ampia della parola). Magari agli occhi di certo mondo si finisce per diventare una “Brigata di Drogati e Delinquenti”. Ma è in questo modo che il romanzo utopico si rende vita, e viceversa la vita si rende romanzo: con gli occhi che, anziché stare a guardare, lottano.
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Rosario Dello Iacovo:
Va così: resto a dormire dai miei e mi metto a leggere B.D.D. il romanzo di Claudio Dionesalvi inviatomi dal buon Dinuzzu, che lo ha impaginato e ne ha realizzato la copertina.
Sono vecchi, fraterni, compagni dell'ex centro sociale Gramna e della curva cosentina, coi quali dagli anni novanta ho condiviso un sacco di storie. Per i puristi delle alleanze da stadio, ci tengo a chiarire che si tratta di un rapporto di natura esclusivamente personale, che non coinvolge in alcun modo le curve napoletane. Come ne ho con qualche vecchio milanista, attivo prima che la loro curva diventasse businessland, qualche livornese, un paio di vecchi romanisti, una manciata di bestie da soma bergamasche (pota!), una spruzzata di bresciani, un paio di granata del Toro e pure qualche doriano. Lo ammetto.
Tutte amicizie che viaggiano sui binari dell'appartenenza politica, naturalmente, perché attendendomi al codice strettamente pallonaro, odio la Roma, il Brescia, il Doria e l'Atalanta, un po' meno il Milan. Qualche maligno dice che sotto sotto addirittura lo tiferei, il vecchio diavolone, ma sono dicerie di menti semplici, facilmente suggestionabili, che confondono l'amore per la città di Milano con il supporto per una delle loro squadre. il Toro, poi, come fai a odiarlo? I cugini poveri degli odiatissimi gobbi, con Superga, tutti i guai, il declino, Pulici e Graziani, i gemelli del goal di quando ero bambino. Anche se poi una volta gli siamo quasi entrati in curva a Torino, quando entrambi eravamo gemellati coi grifoni genoani. Poi ho una vaga simpatia per il Livorno, ma non più di tanto.
Il Cosenza invece è la mia seconda squadra. Coi cosentini sono stato al San Vito, a Salerno in una rocambolesca e pericolosa trasferta, vista l'aspra rivalità esistente fra le due squadre. E pure al San Paolo, col Cosenza ospite del Savoia, quando gli oplontini giocavano le partite casalinghe nel nostro tempio di Fuorigrotta. Il clima di quegli anni l'ho ritrovato tutto nel romanzo di Claudio, che è un bellissimo noir dal taglio ironico, scritto veramente bene, con un uso sapiente e contenuto del cosentino. Una trama che si sviluppa tutta intorno alla scoperta prima di un "delitto" e poi dei colpevoli.
Morale della favola? Le 239 pagine che compongono il romanzo le ho lette tutte di un fiato stanotte, addormentandomi solo alle prime luci dell'alba. Perciò, non posso fare altro che consigliarvelo caldamente. Credetemi: mi ringrazierete, perché B.D.D. spacca.
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Lorenzo Teodonio, “Fatti al cubo”, venerdì 1 febbraio:
UNA STORIA ULTRÀ A TINTE NOIR
Per capire gli anni novanta del nostro scontento abbiamo dovuto leggere un “Romanzo degli anni zero”. Peccato solo che la parole comitiva non ne esca tanto bene…
A quel tempo, infatti, negli anni novanta, avevo una piccola comitiva. Si prendeva una macchina, ci si dava un appuntamento, si andava allo stadio. Destinazione: il Libero Liberati di Terni. Noi eravamo un trio, talvolta un quartetto, che, per amore della Cultura (e non sotto-cultura!) Ultrà, partiva alla volta di Terni. Nella mistica tardo-operaista la città sembrava (ed è!) una sorta di Manchester italiana (che poi, sta cosa della Manchester, mo la dice anche Wikipedia, ma allora Wikipedia non c’era…). La frequentazione fu rara poiché, gioco-forza, la vita ci aveva diventare tifosi di altre squadre e dunque la Curva Est ci accolse solo una decina di volte in tutto.
L’ultima (con la est che era la est) fu proprio un Ternana-Cosenza dove andammo con alcuni cosentini della diaspora romana. Anche lì, prima o poi bisognerà dire, come sostiene giustamente il buon Francesco, che i calabresi hanno avuto il merito storico, epocale, di trasformare un quartiere iper-fascista e pericoloso, come piazza Bologna, in un quartiere frequentabile.
Ci avvicinammo agli ultrà proprio perché lì, nel contesto delle curve, era stato ripreso quel salutare circolo (di derivazione politica) fra ocupar, resistir, producir (come riassunsero i mitici Sem Terra). Per certi versi e ancora di più che nel fantomatico “Movimento”; il Movimento è sempre stato troppo palloso e “costruttivo” (e poco organizzato con quel ritornello “sull'eterno ritardo …”). In un Ternana-Livorno (si odiavano!) vedemmo bruciare gli striscioni della EST da quelli della EST stessi pur di “fare casino”.
La storia della cultura ultrà(s) è nascoste nelle pieghe di un noir. Guai però a pensare che il romanzo sia rivolto solo chi, alla cultura ultrà, deve qualcosa, come noi. Il romanzo parla di un gruppo che studia, si organizza, si “arma” e alla fine vince (o perde?). Questi sono i veri punti. L’organizzazione: la riunione, il bar, l’appuntamento, la chiacchiera: intorno a questi 6 giorni nasceva il settimo. Le armi, poi, quelle metaforiche (per carità!). Nel romanzo, ad esempio, una fotocopiatrice, un computer: cose banali ma che, usate a modo, possono diventare “pericolose”. Alle fine si vinca o si perda è secondario (tanto perdiamo sempre come il Cosenza). L’importanza è sempre nel fatto di averi provato, di esserci visti, di aver condiviso idee, bagni sporchi, treni sgangherati. Queste suggestioni sono universali anche per chi crede essere gli ultrà “brutti, sporchi e cattivi”.
“Fuori i fascisti dalle curve, fuori le curve dagli stadi”. Questo fu il verbo cosentino: subito apprezzammo lo spirito provocatorio e militante; dopo capimmo, a Genova, lo spirito profetico: la repressione delle curve fu portata fuori dagli stadi. Ora Claudio tenta di portare la curva nella letteratura: il tentativo è alto e, per una volta, molto ben riuscito.
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Antonio Clausi, “Calabria Ora”, giovedì 31 gennaio 2013:
GLI ANNI ZERO DI DIONESALVI
È come un fumetto a forma di ferro di cavallo. O meglio è come se lo fosse stato. Chi conosce Cosenza nelle sue espressioni più radicali ed ha frequentato anche marginalmente il San Vito, sa che lo stadio dei Lupi mancava di una curva e permetteva ai fumi di un romanticismo anticonformista di non restare intrappolato nella domenica del pallone, ma di propagarsi come un’anima ribelle nei quartieri e nelle piazze con la medesima efficacia di un rullo di tamburi. Pertanto, è facile riconoscere i personaggi dell’ultima produzione di Claudio Dionesalvi. Nomi storpiati o descritti nello stesso modo in cui un artista realizzerebbe una caricatura. Cadenze, intercalari, tratti somatici e fisionomici amplificati forniscono al lettore una carta d’identità più che mai reale dei protagonisti di “B.D.D. - Romanzo degli anni zero” (casa editrice Coessenza). Il libro non è solo un romanzo ambientato tra Piazza Duomo e Campagnano, ma una fotografia di un preciso momento storico-culturale. Gli anni zero sono adesso, ma lo erano anche ieri. Non si sbaglia a collocarli temporalmente a partire dal 2003. L’autore racconta la quotidianità di una comitiva di vecchi amici, spinti dalla sete di verità ad indagare su un “delitto” commesso in città. Non ci sono coltelli sanguinanti, né omicidi da vendicare. Ci sono fili da riannodare e carte da spulciare. In mezzo la bandiera del Cosenza Calcio 1914, fiera, a dare la spinta giusta ai novelli detective. Il ritmo è incalzante come un disco dei Ramones e a tratti psichedelico come piaceva ai Doors. Si intrecciano storie, si chiamano in causa i poteri forti e quelli occulti, tuttavia il mix esplosivo viene fuori dalla capacità di Dionesalvi di rendere fluide e leggere le pagine che l’una dietro l’altra si rincorrono tra le dita. “B.D.D. – Romanzo degli anni zero” tratteggia Cosenza dal basso, le dà la forma di una città esplosiva, mediorientale, ma ancorata ad una serie di stereotipi che le impediscono di spiccare il volo. La “B.D.D.” lottava per cambiare le cose…
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Antonio Morcavallo, “il Quotidiano”, mercoledì 30 gennaio 2013:
Il libro di Dionesalvi tra la città visibile e invisibile
UN RACCONTO COSENTINO
Uno dei delitti peggiori che la città di Cosenza abbia mai visto consumarsi nell’impotenza e nell’incredulità generale. Tra nomi e soprannomi, vie e vicoli, notabili e massoni, tifosi e delinquenti, frati e mistici, poliziotti e giornalisti, un gruppi di amici cerca di venirne a capo.
Non è stata ammazzata nessuna persona a via degli Stadi, ma il delitto c’è stato. E solo dopo una lunga indagine privata, portata avanti da una brigata di vecchi amici, si riescono a conoscere mandanti ed esecutori. “B.D.D.” Romanzo degli anni zero”, il nuovo libro di Claudio Dionesalvi, è un continuo viaggio tra presente, passato e futuro, con flashback e racconti di episodi, luoghi e personaggi della città dei Bruzi, con chiari ammiccamenti alla realtà cittadina.
Una città dalle molteplici facce. Quelle alla luce del sole, chiuse nei bagni dello stadio San Vito e per i vicoli bui di Cosenza, sospese tra una realtà in cui non si ritrovano e nostalgia di quello che fu; quelle oscure, bene in mostra nei centri di potere e tra vip, politici e massoni cittadini.
Un racconto, quello pubblicato dall’associazione Coessenza (10 euro), che, nel dipanarsi dell’indagine per scoprire il delitto e chi lo ha commesso, passa in rassegna la Cosenza che era e quella che è con lo stravolgimento di vite, comportamenti, luoghi di ritrovo e mentalità, a cui ha assistito una generazione che in riva al Crati vive da decenni. Cambiamenti che continueranno, irrimediabilmente , anche nel futuro. Dagli anni ottanta agli anni zero, appunto, con vicende legate agli ultras e alle controculture giovanili.
Si parte da una giornalista che, pur di portare un servizio da prima pagina al proprio direttore, cede alle richieste sessuali di un poliziotto. Ma le informazioni che riceve in cambio del sesso automobilistico sono parziali. Dalle intercettazioni manca una pagina, quella centrale. Da qui, la ricerca del “Notaio” e degli alti particolari utili a ricostruire la vicenda.
E per arrivare alla verità, tra visioni e racconti di trasferte al seguito del Cosenza calcio, la brigata di amici (Micuzzo, Lucio e Picchì), fa ricorso anche al mistico, primo destinatario di un grande misfatto consumato nella città dei Bruzi.
E se Cosenza e i cosentini emergono forse meno dell’iniziale intenzione dell’autore, il racconto è quanto mai vivace con rimandi a fatti reali e riscritti ad arte, alla “Brigata drogati e delinquenti”, a intrecci politici, massoni e poteri forti.
Alla fine, la città parallela che Dionesalvi disegna si mischia a quella che consuma la propria vita a carte scoperte. Con finali più o meno verosimili. Proprio a partire dal delitto, che è quello… Chi leggerà lo scoprirà.
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Igino Camerota, “Gazzetta del Sud”, martedì 29 gennaio 2013:
Presentazione dell’ultima esperienza narrativa del giornalista e scrittore cosentino Claudio Dionesalvi domani alle 17,30 presso la Casa delle Culture.
FINZIONE, REALTÀ, POESIA E PROSA NEL “ROMANZO DEGLI ANNI ZERO”
Lacrime e cuori infranti. A distanza di quasi un decennio, ciò che rimane è un'indicibile nostalgia. E quello che oggi più ferisce, in fondo, sono soprattutto gli spalti vuoti di uno stadio per tanto tempo tra i più caldi e colorati d’Italia in cui migliaia di spettatori accorrevano da tutta la provincia, ad ogni match, per tifare “lupi”.
Ma il San Vito, “u campu”, è il simbolo di un’identità bruzia che ancora resiste e viene riportata alla luce da “B.D.D. Romanzo degli anni zero” (Coessenza), ultima esperienza narrativa di Claudio Dionesalvi, giornalista e scrittore cosentino già autore di “Za Peppa” e “Mammagialla”(Rubbettino) e direttore del periodico “Tam Tam e Segnali di fumo”.
Si tratta di una storia in cui si intrecciano finzione e realtà, cura e rabbia, poesia e prosa e che inizia, tra i profumi di futuristiche via Roma e via Alimena, da una soleggiata mattinata dell’anno 2043. Ma il viaggio nel tempo attraversa gli Ottanta e, in particolare, i Novanta. Tra folli esultanze per i gol di bomber Zampagna, treni e autobus speciali, trasferte infinite e un sogno nel cassetto, più volte sfiorato, chiamato “serie A”. Il punto cronologico attorno al quale la vicenda si costruisce è l’estate del 2003, quando cioè un tremendo e misterioso lutto colpisce Cosenza. Passano un po’ di anni ed ecco le prove: non si trattò di suicidio, né di morte naturale. Fu un delitto premeditato e studiato da menti lucide e criminali assetate di profitto. In ballo, svariati milioni e gli interessi di poteri di ogni tipo. E così il professor Lucio Spina, i fratelli Pisciatù, Micuzzo, l’avvocato e il resto della loro brigata, sangue rosso blu nelle vene e digos alle calcagna, decidono di vederci finalmente chiaro e offrire, alla città intera, la verità sul più classico dei piatti d’argento. Claudio Dionesalvi continua, con questo romanzo, il suo racconto di Cosenza, città tra le più europee del sud Italia ma al tempo stesso flagellata da piaghe ataviche e difficili da sanare. In una storia appassionante e ribaltabile, i “pedinati”diventano, all’improvviso, detective sulle tracce di loschi ma insospettabili personaggi. La storia raccontata, però, non è una spy.
È piuttosto un racconto d’amore in cui la città e i suoi quartieri sono i veri protagonisti. Tanti scrittori, negli ultimi anni, hanno provato a raccontare in maniera non più superficiale l’universo ultrà e dato vita a un vero e proprio filone letterario di cui “B.D.D.”, senza dubbio, ne fa già parte.
Il romanzo di Claudio Dionesalvi sarà presentato domani, alle ore 17.30, presso la sala Gullo della Casa delle Culture.
Ci saranno, con l’autore, Elena Giorgiana Mirabelli, Eugenio Furia e Giuliano Santoro.
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“Cosenza Sport”, 28 gennaio 2013:
“B.D.D.”, il romanzo di Claudio Dionesalvi ruota attorno a quel delitto
CHI HA UCCISO IL COSENZA CALCIO?
Ore 17,30 presso la Casa delle Culture, Sala "Gullo", a Corso Telesio, Elena
Giorgiana Mirabelli, Eugenio Furia e Giuliano Santoro presentano B.D.D.
romanzo degli anni zero, di Claudio Dionesalvi, edito da COESSENZA.
Siamo nella seconda metà del decennio scorso. Micuzzo, Lucio, Picchi’ e
gli altri protagonisti di questa storia vivono e si muovono nella città in cui nacquero,
ma sono consapevoli che Cosenza è cambiata a causa di un mutamento
sociale e culturale che investe tutto il pianeta. E così faticano ad adattarsi, non si
ambientano. Sanno che è avvenuto un “delitto” che li indigna. Spinti da motivazioni
passionali, indagano per risalire agli assassini. E s’imbattono in una realtà
parallela all’apparente normalità che vegeta intorno a loro. Dietro le avventure
del professore-ultrà e dei suoi amici, eterni precari nel lavoro e nella vita, si
intrecciano episodi veri e vicende fantastiche. Sullo sfondo, vibra l’eterno tema
del male e delle infinite forme che esso può assumere.
La zona di confine tra reale e surreale, un linguaggio ritagliato sull’oralità,
la scelta di vivere in prima persona i fatti narrati, sono al centro del lavoro
dell’autore che è pervenuto alla definitiva versione del
testo soltanto dopo un lungo cammino di condivisione con gli individui ai
quali si è ispirato per caratterizzare i personaggi. “B.D.D.” può essere interpretato
come sequel e prequel di “Mammagialla” (2003), il diario della settimana
trascorsa in carcere, dove Claudio Dionesalvi fu ingiustamente rinchiuso
insieme ad altri 19 attivisti noglobal, con l’accusa di cospirazione politica. Lo
stadio San Vito, luogo simbolico intorno al quale
ruota l’intera vicenda, diviene metafora di una generazione che proprio
non vuole rassegnarsi a vivere da spettatrice.
- CHI HA UCCISO IL COSENZA CALCIO 1914? -
Il delitto al quale si fa riferimento non è un delitto nel senso letterale del termine
ma qualcosa di molto più sottile e drammatico. Il delitto che fa da filo conduttore al
romanzo è quello
del Cosenza calcio 1914, perpetrato nell’estate del 2003. Dionesalvi, nella finzione
del romanzo, immagina addirittura una dettagliata inchiesta della Procura
della Repubblica (figuratevi se la dormiente Procura cosentina avrebbe mai
potuto toccare un “potente”…) e l’esistenza di precise
intercettazioni, che coinvolgono un politico “di grido” (il cui nome è chiaramente
di fantasia…), che confermano quanto si dice in città ormai da anni.
“… Nell’ambito delle attività investigative sul più ampio disegno illecito che
ha portato il vasto sodalizio criminale oggetto d’indagine (nella presente inchiesta
si è deciso di nominarlo “la Comitiva”) ad appropriarsi di quote rilevanti del flusso
di fondi europei destinati alla Calabria, e di fatto a gestirne in forma occulta la
vita politica per diversi anni, la Ps ha riscontrato che nell’estate 2003 il suddetto
sodalizio ha pilotato, attraverso una fitta rete di contatti occulti, le vicende
relative al fallimento del Cosenza calcio 1914.
Dalla presente intercettazione si evince con chiarezza il ruolo dell’onorevole
Raffaele Cataldi, il quale nella telefonata intercorsa con un individuo che parla
da Roma – al momento non identificato ma presumibilmente al vertice della
Comitiva – riceve ordini precisi in merito alla condotta da mantenere nell’opera
di mediazione politica che sta conducendo al fine di pervenire alla ricostituzione
della medesima società calcistica. Nel dare le direttive, UOMO spiega a CATALDI che
nei piani dell’organizzazione di cui egli stesso è a capo e di cui il CATALDI è referente
cosentino, non rientra il proposito di esercitare pressioni sugli organismi della
Federazione Italiana Gioco Calcio al fine di ottenere il ripescaggio del
Cosenza nelle categorie professionistiche. Al contrario, è preferibile che la società calcistica sprofondi nel dilettantismo. La Comitiva intende infatti pilotarne il percorso di ricostituzione per attuare un progetto molto lucrativo, non definito nell’ambito del colloquio intercettato…”.
- L’INTERCETTAZIONE -
UOMO: …allora ci siamo
capiti?
CATALDI: … il problema
è che qui la gente insiste.
Da me tutti si aspettano il
miracolo del ripescaggio.
Sperano che facciamo pressioni
politiche per la riammissione
del Cosenza tra i
professionisti…
UOMO: … Raffaè, qui si
tratta di capire che il guaio
è stato fatto e adesso non è
che ce lo possiamo accollare
noi…
CATALDI: … questo senza
dubbio…
UOMO: … e allora? Se a
Cosenza le cose sono andate
storte, vuol dire che bisogna
ripartire da zero, punto
e basta.
CATALDI: … sì, ho capito,
ma un contentino la FIGC
ce lo poteva pure dare…
UOMO: … allora non ci
siamo capiti, Raffaè. Forse
è il caso che te lo ricordo
un’altra volta? Ma scusa, ci
sei stato pure tu all’incontro
a Roma… dovresti
saperlo… quelli c’hanno i
guai loro. Loro hanno interessi
economici nel Napoli.
Capisci che non potevano
farlo retrocedere. Ma ti
pare che possono rischiare
per noi?! E poi nei nostri
piani non rientra la beneficenza.
Non siamo le dame
di carità del pallone…
Spiegami perché dovremmo
perdere quest’opportunità.
Se questi amici hanno
presentato quel progettino
interessante… e tutti lo
abbiamo approvato, non
vedo perché adesso dobbiamo
buttarlo via…
CATALDI: … no, per carità…
forse però si poteva
provare a conciliare…
UOMO: … a conciliare
cosa? Il Cosenza calcio è
morto. Lo avete voluto far
morire proprio voi di lì
sotto. E non conviene certo
a noi resuscitarlo. Anzi, ci
possiamo impiantare una
bella cosetta per lavorare,
noi e qualche amico…
CATALDI: … sono d’accordo.
Dico solo che bisogna
pure governare la piazza…
UOMO: … e allora tu a che
cosa servi? Ci vuole assai a
muovere un po’ di giornalisti
amici? Mo pure ai tifosi
dobbiamo andare dietro? Ci
vuole assai a prenderli per
il c….? Raccontategli quattro
fesserie. Dite che ancora
ci sono speranze di ripescaggio.
Sarà poi la FIGC a
dire l’ultima parola. E siccome
lì dentro abbiamo
ottimi amici, sappiamo già
qual è…
- “NEL 2003 A NOI CI HA FREGATO IL NAPOLI…” -
Micuzzo sintetizza così l’incredibile notizia: “…Ah, ma allora è tutto vero. Non ero io il pazzo! Se siamo in serie D, ci siamo finiti per colpa di una cosa più grande di noi. Nel 2003 a noi ci ha fregato il Napoli… cioè,quelli dovevano risolvere la faccenda
tra il Catania e il Siena e hanno messo in mezzo l’anello più debole di questa
vicenda, il Cosenza… Lo hanno ammazzato. Il Napoli, la Fiorentina, le banche, la massoneria… erano tutti d’accordo per farci fuori. Non è solo una questione di calcio…Ci hanno voluto fare fuori. Dovevano agevolare il Napoli e la Banca che lo
sosteneva, la Fiorentina capeggiata da un altro banchiere ha marciato sul nostro cadavere…Certo, il Cosenza puzzava di cadavere già prima di morire, però quello che è successo dopo fa ancora più schifo. Gli esecutori di quel piano parlano anche il nostro dia letto…”.
Così, a distanza di un decennio dal delitto, conosciamo anche gli assassini…
- BDD: BRIGATA DROGATI E DELINQUENTI -
Claudio naturalmente spiega anche cosa vuol dire il titolo. BDD sta per Brigata
Drogati e Delinquenti e il nomignolo ha una sua precisa genesi.
“… La Nuova Guardia si sciolse quando ci diffidarono tutti, dopo un derby con
la Reggina. Per dirla tutta, in quel periodo, in un certo senso, s’era già sciolta,
cioè era diventata un’altra cosa. A noi non sono mai piaciute né le barriere mentali
né le storie umane che diventano eterne, così iniziammo a fonderci con
ragazzi di altri quartieri, quelli di Cosenza Vecchia, San Vito e Via Popilia.
Verso la fine degli anni Novanta avevamo dato vita ad un miscuglio. Partivamo
insieme in trasferta, stavamo uniti in piazza. Il nuovo nomignolo che scegliemmo
era nato da uno sfottò. Un poliziotto, una mattina, mentre riconsegnava a sua
mamma un nostro amico minorenne che era stato beccato mentre se ne andava
in giro a sfasciare il treno con uno di quei picconi che si usano per sfondare
i vetri in caso di emergenza, le disse: “signora, quando abbiamo fermato suo figlio, era in compagnia di una brigata formata da drogati e delinquenti”.
Per noi fu una folgorazione: BDD, la Brigata Drogati e Delinquenti. Uno dei nostri slogan preferiti era: “storta o diritta questa è la mia curva”.
- PIERO ROMEO -
Nel romanzo di Claudio, sono presenti tanti ultras. Nessuno ha il suo vero nome e ognuno viene “ribattezzato” in maniera geniale. Sono tanti comunque ad
essere riconoscibili ma uno in particolare ovvero Piero Romeo.
“…La curva chiude i battenti, la tribù guadagna
l’uscita, finisce l’epopea. Quante volte ho alzato il naso verso il cielo per chiedere
agli Dei come sarebbe finita. M’è capitato di riscoprirmi a cercare l’immagine
di mia mamma ritagliata tra le nubi. Lei che nella bara s’è portata la nostra bandiera. Oggi il cielo piange. Mi giro verso la curva, e mi pare di vederli tutti, quelli che un
tempo mi ritrovavo vicini a cantare in coro le canzoni degli ultrà. I capelli lunghi,
le mani in tasca. Il nostro mondo si sgretola, pezzettino dopo pezzettino. Il nostro era un bel modo di stare al mondo. Nessun’altra comunità laica in questo lembo di
Terra esprime tanto pathos, tanta ritualità nel momento del lutto. A quelli che oggi riempiono le gradinate l’ho ripetuto più volte: inutile cercare di capirci né di imitarci.
Ogni tempo ha la sua storia. Quando mio padre morì, Piero mi prese per mano.
M’avevano parlato di lui. Mia zia diceva: il figlio della signora che abita di
fronte, è il capo. Lo ritrovai in piazza, circondato da persone strabilianti. Lui ci
punì quando non riportammo indietro il bandierone che ci aveva prestato, ma
poi ci protesse e ci coccolò. Diceva che noi eravamo pazzi sul serio, il futuro
vivo della città. Quando venne a trovarmi in ospedale aveva gli occhi gonfi di lacrime. Non mi
diede soddisfazione: “Bravu minchiune”: Mi chiese di dargli una mano al “convento”. Mi toccò pedinare un padre sospettato di abusi sulla figlia, sedare le risse tra diseredati, fare le previsioni meteorologiche ai senzafissa- dimora tutte le mattine. Che guai se li chiamavi “barboni” davanti a lui. Mia mamma diceva sempre
che Piero aveva più testa di noi tutti. E che sin da ragazzino, è sempre stato più grande della sua età. Mia mamma è stata una sua insegnante. Mi consigliava
spesso d’imparare qualcosa da lui. In curva m’ha insegnato ch’è più importante
l’amicizia che aggredire un ragazzo con la sciarpa di un colore diverso dal mio.
Nel “santuario” ho capito che per una persona abbandonata da tutti, è più
nutriente un sorriso di un piatto di pasta. Vale più la parola arrabbiata di un
matto che qualsiasi bel discorso da saputello. Soprattutto grazie a Piero
abbiamo vissuto gli anni nostri più belli in una meravigliosa comunità umana.
Senza di lui non avremmo mai incontrato la vera Cosenza”.
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Eliseno Sposato, Sotterranei Pop, Radio Libera Bisignano, puntata di venerdì 25.01.2013:
- podcast -
http://sotterraneipop.blogspot.it/2013/01/puntata-del-25012013.html
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Domenico Bilotti, www.politicamentecorretto.com 31 dicembre 2012:
OSTILE ALLA REAZIONE… NON SONO STATO MAI COSÌ STRAVOLTO
I frettolosi annalisti dell’extraparlamentarismo italiano dedicano
poche, stringate, spesso inesatte, note in merito al Gruppo XII Ottobre
di Genova. Anticipatore di una stagione certo luttuosa, eppure non
estranea al contatto diretto con le istanze rivendicative della fine
degli anni Sessanta, quel gruppo è solitamente descritto come formato
da una combinazione poco coordinata di giovani esponenti dell’operaismo
e taluni delinquenti comuni, che mano a mano, come si dice con formula
abusata, “sposarono la causa”. Sembra il pessimo inizio di un romanzo
noir italiano da classifica dei best-seller, invece quella vicenda
racconta piuttosto emotivamente di quanto la condizione dell’
extralegalità marginale si trovi facilmente proiettata nell’
accettazione di una proposta politica radicale, che contribuisce ad
elaborare, in quanto contribuisce a farne lumeggiare i temi di
intervento e i settori di maggior degrado. Leggendo l’ultimo romanzo
di
Claudio Dionesalvi, “B.D.D. Romanzo degli Anni Zero” (Coessenza,
Cosenza, 2012), la connessione appare ancora più evidente: il contatto
diretto con l’alienazione che si respira nelle città meridionali non
può che portare a solidarizzare spontaneamente con la distruttiva (in)
esistenza dei minimi servizi sociali, esattamente come i compagni di
strada dei conflitti più materiali (dall’abitare al reddito, dalla
questione penitenziaria a quella dei “nuovi” diritti civili) finiscono
per essere i soggetti che da quelle ingiustizie giuridiche sono più
spesso vittimizzati, sacrificati, attaccati e offesi.
Conoscere l’autore del libro che si sta recensendo porta,
tendenzialmente, a due possibili atteggiamenti: se la conoscenza si
esaurisce in una bella cordialità, i toni del recensore saranno
misurati, allegri, elogiativi; se quella conoscenza si diffonde in un
rapporto di vera fratellanza, il rischio, gravante sul recensore che si
stima arguto, è quello di calcare sulle spigolature, sui non detti dei
rapporti d’amicizia, sulle crepe dello sfondo narrativo. In questo
caso, speranza vana. Tanto per cominciare, Claudio Dionesalvi scrive un
romanzo in cui la principale voce narrante segue il ritmo dei suoi
pensieri, ma li annota con una tale empatia, verso la comunità in cui è
possibile ascoltare quella voce, da far crollare facilmente ogni
pretesa diaristica o di mera fantasia, per portare alla pagina una
coralità fresca, “stonata”, quasi, appunto, come un coro da stadio. Il
libro non può che nascere da lì: dalla rete di relazioni umane che
una curva calcistica porta con sé, con le storie sbagliate, l’epica
delle piccole bravate fatte e l’epoca delle gravi bravate subite, l’
ossificazione di una cartilagine sociale che si nutre della bellezza,
della complicità, di una consapevole eresia verso la produzione della
morale sociale in una città di provincia.
Secondo colpo di genio: Claudio Dionesalvi è il primo “giallista”
italiano che indaga sul presunto omicidio di una persona giuridica così
peculiare come una società sportiva, simbolo della permanente
dialettica tra interessi dominali e passioni collettive. “Giallista”
perché nel libro ci sono enigmi, non “giallista” in quanto uno dei
tanti scrittori domenicali che ci raccontano fumosamente di strani
figuri di intellettuali perennemente ubriachi, che contemporaneamente
scoprono Sartre e il colpevole di un omicidio, mentre trangugiano litri
di vini pregiati e intessono relazioni equivoche con donne non
occasionalmente bellissime.
Terza impresa del funambolo cosentino: la storia di “B.D.D.” è la
storia di una comunità umana impressa nella terra delle confluenze,
nella città di Cosenza, nelle sue ondate insurrezionali come nel
reflusso dei propri poteri, nel sogno ingannevole di affermazioni
sportive per riscattare sconfitte umane e viceversa. Dionesalvi sa
scatenare un vero e proprio gioco di rimandi, dove risultano arabescati
tutti i personaggi cittadini davvero meritevoli dell’epos locale; al
tempo stesso, però, B.D.D., che non poteva nascere in nessun’altra
città al mondo, può vivere in qualunque angolo del pianeta, dove vi
siano ancora forme tipiche di azione critica, non tanto paradossalmente
di “resistenza e insubordinazione”.
E ultima nota, che riguarda i rapporti umani tra recensore e
scrittore: Dionesalvi dà vita a un alter-ego letterario molto più goffo
e molto meno teatrale dell’autore reale. È un ragazzo stonato,
innamorato di una donna bellissima, che si ciondola nei meandri delle
sue contraddizioni: fa ridere, impreca, entra in empatia con le facce e
i valori che lo fanno innamorare. Dove l’alter-ego balbetta, l’autore
sa farsi scudo dell’antico motto per cui è sempre una risata a
seppellire ciò che merita di essere seppellito.
Il testo, peraltro, che si presta a una lettura d’un fiato, perché fa
sgorgare con forza le mille interpolazioni, analessi e prolessi, che lo
nutrono, ha un’attitudine sperimentale che s’affratella alle
avanguardie di ogni epoca, perché cambia registri, fa raccontare gli
stessi fatti a persone diverse, fatti diversi a persone uguali,
illustra con la stessa cura le bevute domenicali e scenari “post” che
nella penna di Dick, decenni addietro, sembravano fantascienza, e ora
sembrano persino la speranza di un “dopo” che comunque sarà e potrà
trovare ancora qualcuno pronto a reagire.
Una domenica di oltre un decennio addietro, prima che venisse
consumato l’assassinio di fede su cui indagano il professore ultras e
la “sua sporca dozzina” (o forse la “sporca dozzina”, di cui il
professore ultras fa parte, come gli altri “undici sporchi”), il
recensore, durante una partita di calcio, mentre veniva intonato un
bellissimo coro locale, sentì che una mano gli batteva le spalle al
ritmo della canzone che risuonava in gradinata… dopo essersi voltato,
notò che l’improvvisato percussionista era proprio il futuro autore di
“B.D.D. Romanzo degli Anni Zero”, che squarciava sul viso infreddolito
una smorfia simile a un sorriso amichevole. Andando indietro a quella
domenica, probabilmente, Dionesalvi, questo suo gustosissimo ultimo
libro, già lo aveva in testa.