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G. Vattimo ed E. De Luca: critiche infondate

Appunti

G. Vattimo ed E. De Luca: critiche infondate


GIANNI VATTIMO ED ERRI DE LUCA:
CRITICHE INFONDATE, PROBLEMI VERI -

Si lascia seguire con più di qualche incomprensibilità linguistica il dibattito in corso contro i “cattivi maestri”, che allinea la posizione leghista a quella dei “responsabili”, l’interlocuzione istituzionale e gli editorialisti al vetriolo. Ci riferiamo alla polemica suscitata dagli interventi di Gianni Vattimo ed Erri De Luca sulla questione dell’Alta Velocità in Val di Susa, e in particolar modo in riferimento alle posizioni del movimento che ad essa si oppone. Innanzitutto, i due interventi hanno espresso delle opinioni abbastanza articolate sulla condotta dei manifestanti, non risolvibili (ci parrebbe) in un plauso, né nella piena omologazione delle idee veicolate dai due intellettuali. Perciò, il “fuoco amico” sui cattivi maestri, tra le altre pecche, ha quella dell’opacità informativa addotta e determinata. Chi scrive, ha abbastanza frequentemente letto l’opera letteraria dei due intellettuali e, persino cercando di cimentarci in una critica da “destra” degli autori in commento, ha potuto notare come la loro ricerca non fosse incendiario invito alla devastazione, né strenua lotta ad ogni sistema, ma un percorso assai raffinato e, finanche, intricato: basti pensare all’approfondimento dei lavori di Vattimo su Nietzsche o agli studi del De Luca sull’ebraico antico. Questioni di introspezione e lavoro sistematico: qualcosa di assolutamente distante dalle rivendicazioni, dalla sbrigatività degli slogan e dalla faziosità per mestiere. Sulla TAV si può dissentire o non dissentire. Di certo, è abbastanza visibile una forte, fortissima, componente di comunità locali che dissentono. Il problema non è, perciò, come vorrebbero i “forbiti” avventurarsi in discussioni sul concetto di sabotaggio (un dibattito che neanche il luddismo è mai riuscito fino in fondo a spezzare), di obbligo politico (la Scolastica, che si cita anche a sproposito sui temi eticamente sensibili, diceva qualcosa di molto netto sul punto), di apologia di reato (una forma di archeologia giuridica che è sempre utile all’analisi giurisprudenziale, ma che è pericolosa quando chi definisce cosa intendere per apologia e cosa intendere per reato abbia un’accezione di reato tutta indirizzata contro il presunto apologeta). Per ragioni geografiche, e anche per le mie difficoltà a comprendere le dinamiche a volte presentatesi, chi scrive non ha mai manifestato una peculiare adesione alle istanze del movimento No Tav, mentre ha apprezzato tutti quegli sforzi, anche ideologicamente avversi, di quanti abbiano provato a studiare il fenomeno con sobrietà, misura, poco importa, in questa fase, se l’esito definitivo fosse una prudente adesione o una critica aspra. Ciò non toglie che, a meno che non si voglia cedere alla morale di Trasimaco, da sempre esiste un solo modo serio e pulito di trattare questioni affini: dialogare con le istanze dei contrari, valutare i profili di condivisibilità o non condivisibilità, studiare con la calma del caso le ragioni che vengono dai territori e che si organizzano fisiologicamente, in una componente più radicale, in un movimento continuativo. Nelle parole di De Luca e Vattimo c’è, al più, una forma di solidarietà verso le modalità con cui è trattato (anche mediaticamente) questo dissenso irrisolvibile: non per forza un giudizio di fondatezza delle istanze in senso stretto (il quale a propria volta non potrebbe essere aprioristicamente negato). E non pare affatto che ciò basti a qualificare chicchessia un “cattivo maestro” -anche se con la concitazione delle dichiarazioni raccolte con la febbre tipica della comunicazione da Twitter dei giorni nostri. La progettazione dell’Alta Velocità risente perfettamente della vecchia idea di Europa che esprime, quella di un decennio fa, dell’utopia dell’espansione mercantile e riconciliata, dal Togo al Baltico. Ecco, forse potrebbe aprirsi una riflessione anche sulla consunzione (o, se è stato, il mendacio) di quella illusione e vedere che cosa attende il sistema della cooperazione e del commercio, dentro e fuori la vicenda degli Stati nazionali.

Domenico Bilotti
politicamentecorretto.com