Recensioni
B.D.D., Claudio Metallo intervista Claudio Dionesalvi
www.marsilinotizie.it - B.D.D. romanzo degli anni zero (Coessenza 2013, 12 euro) è il nuovo libro di Claudio Dionesalvi, ultrà del Cosenza ed attivista politico della città bruzia. Claudio collabora con varie testate giornalistiche, tra cui Il manifesto, ed è stato direttore del periodico della curva Tam Tam e Segnali di fumo, che affrontava anche inchieste sulle questioni scottanti riguardanti la vita cosentina.
B.D.D. è l’acronimo di un gruppo presente nella curva dello stadio San Vito: Brigata Drogati Delinquenti. A dispetto del titolo, il romanzo non racconta le curve italiane, la nostalgie degli scontri con le forze dell’ordine e con altre tifoserie, la magia degli stadi pieni e i viaggi spesso estenuanti per seguire la propria squadra. Ricordi – questi – microstorie, che sì affiorano nel libro, ma che fanno solo da sfondo alla vicenda principale. E’ stato commesso un grave delitto; non è stata uccisa una persona, è stata colpita una generazione.
Dunque non si raccontano storie di ultras, ma sono gli ultras ed ex ultras che raccontano Cosenza. E si tratta di narratori davvero acuti perché – come scrive nella puntuale postfazione Wu Ming 5 – “la curva cosentina ed il suo rapporto con la città rappresentano un’esperienza importantissima nella storia della politica di strada, dell’aggregazione dal basso di questo paese.”
Prima che un tentativo di tirare le fila delle esperienze curvaiole, il romanzo costituisce il ritratto della Cosenza masticata e poi sputata dalla speculazione edilizia, violentata nel suo spirito da gruppi di affaristi in grembiule e cappuccio, ma animata da giovani vivaci ed attivi non solo sugli spalti.
Claudio Dionesalvi attraverso la sua penna ci restituisce un po’ di questa energia. In fin dei conti, B.D.D. è un romanzo di sincera e schietta ribellione, e perciò politico, che rielabora, attraverso un vissuto autobiografico, il sentire comune di un’intera generazione non solo cosentina. E, chiuso il libro, resta il rammarico che forse le generazioni future non potranno godere dello stesso humus in cui sono cresciuti il protagonista ed i suoi amici.
Abbiamo rivolto all’autore qualche domanda:
- B.D.D. è romanzo in cui hai messo molto di te stesso. Potrebbe essere quasi un’ autobiografia tua o della Cosenza ribelle. Cosa ti ha spinto a metterti così a nudo?
"Troppe volte mi sono sentito espropriato del corpo, del sapere e della parola. Così ho deciso di riprendermi storie che appartenevano a me e ai mondi in cui sono cresciuto. Ci sono tante possibili forme di autobiografia. Ho cercato di tenermi alla larga da quella “paradigmatica”, spesso trionfalistica. Quella che dice: “guardate come sono bravo e bello. Provate ad imitarmi”. Hai colto bene il messaggio: in B.D.D. provo a narrare eventi che non solo soltanto miei, bensì condivisi. Quindi, m’è sembrato doveroso mettermi a nudo per primo. Il mio è un atto d’amore verso “questi anni”. Non a caso, le muse ispiratrici sono state mia figlia Maya e la compagna della mia vita, Loredana".
- Il racconto di una stagione di rivolta per uno scrittore può essere il modo di fare il punto su una parte della sua vita oppure sulla stagione stessa. Ti rivedi in questi due punti oppure c’è una terza o una quarta via?
"Mi ritrovo in entrambe le prospettive. Ma soprattutto sulla possibilità di guardare oltre la dimensione locale e identitaria. B.D.D. è un tentativo di raccontare al mondo le nostre storie, e al tempo stesso raccontare il mondo attraverso le nostre storie. La cosentinità, stavolta, è un pretesto. Guardo con grande ammirazione ai testi in dialetto del musicista Enrico Granafei, al film “Fiabeschi torna a casa” di Max Mazzotta, al Beckett in vernacolo messo in scena dalla compagnia teatrale Krypton, alla narrativa lirica del poeta Daniel Cundari. Tutti esempi concreti di come si possa riuscire a universalizzare la cultura di un luogo, mantenendo fermi i linguaggi e gli scenari locali. E poi, sì, mi sono lasciato travolgere dalla voglia di rappresentare il presente o, se preferisci, il passato prossimo. Che troppo a lungo lasciamo custodito in cantina, nell’attesa che arrivi a stagionatura. A volte, però, purtroppo marcisce. Allora meglio tirarlo fuori subito e provare a raccontarlo".
- Perché, secondo te, era importante raccontare la curva del Cosenza? Cosa ha significato per la città quell’esperienza di aggregazione, e su quali campi agivate?
"Nella scelta della curva come collante, elemento trainante della fabula, ho provato non pochi tormenti. Noi ultrà siamo sempre stati molto gelosi delle nostre storie. Quindi mi sono chiesto se fosse giusto scriverle. In realtà, s’è trattato di ri-scriverle, perché i flashback presenti in B.D.D. sono ripresi da episodi che avevo pubblicato sul quindicinale Tam Tam e Segnali di Fumo, che era il nostro organo ufficiale. Alla fine sono rimasto contento perché il romanzo è stato molto apprezzato proprio da curvaioli della generazione attuale, e di quelle passate. Ho cercato solo di stare molto alla larga dalla letteratura ultras che negli ultimi anni è diventata trombona e autocelebrativa. Per quelli come me, la curva dello stadio San Vito ha comportato tutto: l’incontro con l’amore, l’odio, l’amicizia, il sociale. Come avrei potuto tenerla fuori?"
- Nel romanzo ci sono tanti personaggi di fantasia (quasi tutti gli amici di Lucio Spina) riconducibili a persone reali. Penso che fosse inevitabile, ma come ti sei regolato per costruire i tuoi protagonisti?
"Mi sono divertito a smontarli e rimontarli. È una specie di “realtà aumentata”. Sarà retorico affermarlo, ma è indubitabile che la realtà dei miei amici, gli affetti di cui mi circondo nella giornata quotidiana, è infinitamente più bella, viva, tenera e calorosa di qualsiasi riproduzione letteraria. Quando si è innamorati del proprio mondo (con tutta la carica di naturale e passeggero odio che questo sentimento può comportare), non è difficile coglierne frammenti e trasmetterli attraverso la scrittura. Prima di trasporre su carta le storie di ognuno, ho chiesto a ogni singola persona consenso e condivisione, senza i quali non avrei mai proceduto con la stesura. E ci siamo divertiti molto. Il contributo più importante, comunque, è arrivato dai miei fraterni soci e socie della Coessenza, che nel cammino dell’editing hanno avuto la pazienza di sollevare critiche e osservazioni. Le ho accolte e recepite tutte".
- Nel romanzo parli spesso di due Cosenza, due città separate. Ci puoi raccontare brevemente come vedi queste due città?
"Ogni giorno dobbiamo fare i conti con una città sovrastrutturale che decide, gestisce i fondi pubblici, schiavizza e precarizza migliaia di famiglie. È la “nuova” borghesia cosentina. Negli anni ottanta ce n’era una ancora capace di investire e rischiare capitali per trarne profitto. Poi magari faceva cose ugualmente terribili, come pilotare la guerra di mafia o insabbiare processi importanti. Però in un modo o nell’altro produceva ricchezza per sé, e qualche mollichella la distribuiva pure.
La borghesia odierna, invece, è capace solo di predare, è parassitaria e arrogante. Il suo connubio con pezzi di malavita e massoneria, con i partiti o ciò che resta di loro, nonché con settori nevralgici della Chiesa cosentina, produce una città perfida, parallela e pervasiva. Le lotte sociali e la libera espressione ribelle, sono le uniche armi che abbiamo per darle fastidio. A Cosenza ci siamo riusciti spesso!"
altre recensioni:
http://www.coessenza.org/news621-Gl-infiniti-modi-d-inquadrare-B-D-D-621.htm