La Coessenza è una casa editrice nata dal basso.
È un'associazione culturale per la formazione e la comunicazione autonome. Promuove un'editoria estranea a logiche di profitto e sfruttamento degli autori e delle autrici. Lotta contro il copy right. Si fonda sui principi di condivisione della conoscenza, beni comuni, reciproco ascolto e antirazzismo.
Appunti
Per un luogo di documentazione interattivo
Piazzetta Toscano non è solo luogo simbolico di degrado e deturpazione del paesaggio urbano. In essa, la storia ha inciso i propri graffiti tridimensionali, adoperando una scrittura ipertestuale. Non c’è una sistemazione sequenziale di ruderi e vestigia delle diverse epoche. Si intrecciano mura antiche, arcate tardomedievali, piani e livelli di una stratificazione involontaria, eppure dotata di un equilibrio proprio, in una sovrapposizione di stili, tecniche e necessità abitative. È un groviglio di tracce dei flussi umani sedimentatisi nei secoli, un luogo storicamente fruibile per necessità, passaggio, avvicendamento.
I siti deputati alla cultura, che nell’odierno centro storico sono fioriti a partire dell’età moderna, e nel periodo contemporaneo recente si sono affastellati lungo l’asse dell’antica via dei mercanti, non godono della medesima potenziale fruibilità. Sono luoghi privi di vitalità, confinati in una dimensione museale, distanti da qualsiasi vocazione interattiva. Non è solo un problema di domanda ed offerta culturale. È una regressione civile, testimoniante il generale distacco dalla sfera comune della conoscenza. È una relazione che va spegnendosi, così come scema la partecipazione alla vita pubblica e si abbandona il rapporto con le montagne e i fiumi che poi franano ed esondano. Del resto, perché meravigliarsi? Le relazioni sociali sono sempre più incorniciate in contenitori telematici che, oggettivizzando il soggetto comunicante, evocano più l’ellenistico Regno dei Morti che i paradisi artificiali trasudati dalla letteratura cyberpunk sin della fine del secolo scorso.
La cittadinanza, sia essa colta o ascrivibile ad un basso livello di scolarità, non abita più le piazze e nemmeno i propri musei, i teatri, le biblioteche. È il caso della Biblioteca Nazionale e della Civica, come della Casa delle Culture. Sono siti sospesi tra le difficoltà amministrative, le beghe partitiche e la staticità impiegatizia. Affogano nel disinteresse. Aspettano un’utenza che non arriverà mai, perché non sono né attrattivi né votati all’espansione. I pochi frequentatori rimasti, appaiono riconducibili alla sfera degli addetti ai lavori.
A Cosenza Vecchia, una delle possibili risposte a questo svuotamento di senso e prospettive, può essere rappresentata da un’azione condivisa da diverse realtà associative, in uno dei luoghi abbandonati a se stessi: piazzetta Toscano, in particolare nella sede dell’ex Centro d’Informazione Turistica. Anzitutto, perché in questa città non si può continuare a tollerare che gli spazi pubblici siano assegnati in nome di nuove e vecchie "amicizie", mentre ci sono associazioni che combattono con edifici fatiscenti, amianto, topi e denunce, pur di portare avanti concrete attività sociali e culturali.
L’ex CIT non dovrebbe divenire uno spazio unidimensionale, in cui tecnici ed esperti delle arti si asserraglino a presidio di qualche nuova, drammatica, isola di residualità da difendere. Al contrario, un luogo di sperimentazione in cui privilegiare la libera espressione, lo studio, l’ascolto, l’approfondimento su temi specifici, un rinnovato protagonismo dei soggetti attivi, che nel quartiere non mancano.
La Coessenza propone che questi locali siano, in forma transitoria, anche – ma non solo – la sede del Centro di Documentazione “Raffaele De Luca”, in cui realizzare un archivio di libri, consultabile liberamente. L’aggettivo “transitoria” non semini confusione. L’ex CIT sarebbe infatti un network, quindi un luogo che potrebbe assumere forme, nomi e funzionalità ipertestuali, mai sequenziali, proprio come piazzetta Toscano.
Nei giorni in cui vi opererebbe la Coessenza, esso ospiterebbe laboratori di lettura ed ascolto, nonché incontri tematici, come già facciamo da tre anni in forma nomade. Si configurerebbe come la sede ideale di una sorta di racconto corale, agito da singole esperienze; una forma di editoria aperta ed in divenire.
Inoltre, potrebbe ospitare la redazione di Tam Tam e Segnali di Fumo, qualora la comunità curvaiola che lo ha pubblicato negli ultimi 22 anni, decidesse nel corso della prossima estate di continuare, a partire da settembre, a mantenere viva questa esperienza conosciuta ormai in tutta Europa per i contenuti antirazzisti veicolati negli stadi di calcio.
Cosenza, Sabato 15 maggio la Coessenza
COSENZA, SPONDA SINISTRA DEL FIUME CRATI, PIANETA TERRA
LA SCUOLA DEL VENTO NEL VILLAGGIO ROM
Nel 2006 ci siamo riuniti per la prima volta in uno spazio autogestito. Abbiamo deciso di chiamarci Coessenza. Accomunati dalla passione per la scrittura, condividiamo conoscenza, lettura e reciproco ascolto. Ci unisce la voglia di camminare in basso. Diamo il nostro piccolo contributo nella lotta contro il diritto d’autore che in Calabria, come in molti altri luoghi, domina in maniera mafiosa il sistema dell’editoria. Per un anno abbiamo solo parlato, letto, ascoltato. Poi ci siamo decisi a pubblicare racconti, poesie, saggi. Non è andata male. Anzi, se avessimo voluto diventare una casa editrice, forse non ci sarebbe stato difficile farlo. Ma non era questo che volevamo fare. Allora, nel terzo anno di attività, ci siamo detti che bisognava provare ad andare ancora più in basso, cercando nuovi linguaggi, sperimentando forme innovative di espressione in mezzo alle persone che vivono nei quartieri periferici della città, dai quali molti di noi provengono, in cui alcuni di noi abitano. In questo sforzo di ricerca, quando Elisabetta ci ha fatto notare che sulla riva sinistra del fiume Crati, a Cosenza, sul pianeta Terra, la situazione è più difficile che mai, abbiamo deciso di incontrare i bambini “invisibili” del villaggio rom. Insieme a loro, collaborando anche con altre associazioni sensibili ai diritti dei migranti, abbiamo dato il via alla Scuola del Vento. Si chiama così perché una delle prime volte che siamo entrati nel villaggio, il vento si è divertito a lanciare in aria il nostro gazebo che ha cominciato a rotolare tra le baracche. Tutti insieme divertiti lo abbiamo inseguito. È bello vedere una scuola che vola. Inseguendo il gazebo, ci è capitato di guardare in alto. E così dal campo rom abbiamo intravisto i tetti della città. Non li avevamo mai notati, i tetti. Grazie a Tony e ad altr@ vecch@ e giovan@ compagn@, per alcune settimane abbiamo tenuto lezioni di Italiano, Matematica, Decupage e Artigianato. I bambini rom imparano subito, ti aspettano con ansia quando sanno che vuoi insegnar loro qualcosa e hai scelto di farlo nel loro mondo, quello dei gitani, all’aperto, lontano da aule anguste e chiuse, dove tante scuole italiane, purtroppo, ritengono ancora di poter “formare i cittadini”, limitandosi però ad allevare polli-bambini. Aule strapiene, insegnanti mummificati, progettifici, scarse attività di recupero, otto ore in classe, razzismo, quantificazione del sapere... per fortuna non tutte le scuole sono così, ma ce ne sono tante. In queste scuole non troveranno mai spazio né i rom né tanti altri ragazzi che non provengono dalle famiglie pubblicizzate negli spot televisivi di una nota marca di biscotti. Noi non vogliamo distruggere l’istituzione scolastica. Anzi, facciamo di tutto affinché i ragazzi di tutte le etnie e culture la frequentino. A Cosenza ci sono pure scuole che si sono poste l’obiettivo di concedere cittadinanza in aula ai rom. Ma in generale nell’ultimo decennio si è imposto il modello scuola-azienda, a volte degenerante in assurde mini-istituzioni totali che noi sogniamo di destituire, esautorare. Vogliamo dare il nostro piccolo contributo. Sappiamo che i bambini del villaggio rom rischiano di diventare, tra qualche anno, i soldatini della ‘ndrangheta del domani. Quelli che riscuoteranno tangenti, venderanno droghe, ruberanno macchine per chiedere il riscatto e, in caso di necessità, saranno “battezzati” per andare a compiere missioni di morte. Ciò è accaduto in questa terra negli ultimi vent’anni. Le comunità nomadi, da sempre, sono state spinte a privarsi delle loro radici culturali. Corpi, consensi e saperi comprati e svenduti. Al di fuori della carità e della compassione che a volte finiscono solo per allevare disperazione e sotterrare l’umana dignità, in pochi hanno fatto veramente qualcosa di costruttivo con gli zingari. Per noialtri, montare il nostro gazebo nel villaggio per due o tre volte a settimana, significa imparare, divertirci, praticare una didattica diversa, esercitare un’Altra cittadinanza, ribellarci all’ondata di paura e moral panic. Mentre i malgoverni delle città studiano le prossime mosse per divorare i fondi europei disponibili in materia di contrasto alla discriminazione dei rom e sinti, la mancata soluzione della questione gitana spinge intere popolazioni, che con essi vivono a contatto, a identificare il male con gli zingari, trascurando il problema di quanta aggressività e disperazione si annidino nelle nostre famiglie, nei nostri condomini, negli uffici pubblici, sui luoghi di lavoro, nelle caserme, nei tribunali e nelle italiche strade. Per i prossimi due mesi ci fermeremo. Andremo a trovare i bimbi rom solo per giocare a pallone con loro. Perché ogni scuola ha i suoi tempi di pausa. Poi, in autunno, se le altre associazioni cittadine e gli adulti rom vorranno continuare a condividere questa esperienza, riapriremo la Scuola del Vento. Nella speranza di rivedere una verde scia luminosa solcare il cielo al tramonto, com’è accaduto in una sera di giugno, sul villaggio in riva al Crati. Non un miracolo. Forse un meteorite. Di certo era una scia volante persistente e colorata, che si muoveva rapida seguendo il fiume. E i nostri sogni pure. Cosenza, luglio 2009 La Coessenza
"Così raccontano i nostri vecchi.."
I racconti del Subcomandante Marcos durante l'Otra Campaña 15 / 6 / 2009
Intra Moenia pubblica i racconti del Subcomandante Marcos durante l'Altra campagna, tradotti da Claudio Dionesalvi. E' un progetto di Ya Basta! L'intero ricavato sarà devoluto alle comunità ribelli zapatiste in Chiapas, Messico. Collaborano l'associazione Coessenza ed Edizioni Erranti di Cosenza.
Il libro verrà presentato nel prossimo autunno a Cosenza. Nelle librerie è già disponibile. Per chi volesse acquistarlo o presentarlo:
- in calabria tobbia@tin.it
- nel resto d'Italia yabastanapoli@yahoo.it
http://www.globalproject.info/it/produzioni/Cosi-raccontano-i-nostri-vecchi/838
Introduzione
Quando a scuola si studia la storia dei popoli indigeni d’America, i ragazzi e le ragazze stentano a credere che esistano ancora i Maya. Infatti i libri scolastici insegnano che sono stati sterminati cinque secoli fa dai conquistatori europei ed analoga sorte è toccata ai Pellerossa, agli Aztechi ed agli Inca.
Eppure i Maya sono ancora lì, nel sudest del Messico, nello Stato del Chiapas. Coltivano le terre che hanno occupato durante l’insurrezione del gennaio 1994. Amministrano i territori liberati. Resistono alle continue aggressioni del governo messicano che ha cancellato i loro diritti e vorrebbe annientarne l’identità e la memoria storica.
Hanno ideato un proprio sistema amministrativo che funziona fuori dalle istituzioni del malgoverno. Indossano il passamontagna dell’EZLN, affinché il mondo sappia che esistono. Come altre popolazioni indigene del continente americano, i Maya non si rassegnano. Per milioni di uomini e donne di tutto il mondo la loro ribellione è uno spiraglio di luce e speranza. Perché non essendo una rivolta desiderosa di conquistare il potere, riesce a realizzare un modo diverso di creare relazioni umane, abitare i luoghi e costruire democrazia Gli zapatisti parlano con gli occhi e vedono con le parole. Le loro forme di comunicazione e di lotta ci insegnano a pensare ed agire al plurale. A migliaia di chilometri di distanza il loro cammino di autonomia contribuisce a dare un senso ad innumerevoli esperienze di ribellione che fioriscono in diverse zone del pianeta.
L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale ci insegna che la qualità del cammino è più importante della meta da raggiungere. Non esiste una strada già tracciata. Bisogna realizzarla insieme.
In carovana con l’Associazione Ya Basta abbiamo incontrato l’autonomia zapatista e l’Altra Campagna: un’esperienza di democrazia dal basso che si compie mediante un percorso di incontri con le comunità ed i movimenti che in quella zona della Terra resistono al neoliberismo. Attraverso i linguaggi della poesia, rievocando l’epica indigena, in questo cammino collettivo chiamato Altra Campagna che si compie grazie alla capacità di ascoltare i popoli, il Subcomandante Marcos narra i sogni ribelli di un presente ed un futuro tutti da costruire. Lottando per la dignità umana.
I racconti che pubblichiamo portano una data precisa. Sono stati scritti e letti durante gli incontri che il Subcomandante Marcos, Delegato Zero, ha svolto in tutto il Messico durante i primi mesi del 2006 mentre iniziava a prendere forma l’Altra Campagna. In molti casi con gli zapatisti le date non hanno importanza, riletti con gli occhi di oggi ci servono infatti per riflettere sul presente in Messico e in casa nostra.
E' USCITO IL SILIDRILLO!!
È uscito Il Silidrillo. Vive tra i laghi della Sila. Come i lupi e come l’identità ribelle silana, è in agguato.
Prossime Pubblicazioni Coessenza - Il porto sequestrato
Ad un anno dall’inizio dell’inchiesta sullo stato di salute del porto di Ancona dopo la sua totale "messa in sicurezza", esce la prima pubblicazione dell'Osservatorio Faro sul Porto Il porto sequestrato Reportage sul nostro porto al di qua e al di là delle reti (Ed. Coessenza - Cosenza) 13 / 5 / 2010 (Prefazione de "Il porto sequestrato") Nelle tre date in cui verrà presentato “Il porto sequestrato”, (11 maggio a Venezia (in occasione dell’incontro pubblico “Welcome. Indietro non si torna”), 14 maggio ad Ancona, 15 maggio a Perugia), saranno presenti anche i rappresentanti delle associazioni greche di Patrasso e Igoumenitsa e quelli della rete Tuttiidirittiumanipe-rtutti di Venezia. La mobilità che attraversa il porto è fortemente caratterizzata dalle reazioni che gli attori del controllo sociale producono per via di numeri previsti a monte dal Ministero dell'Interno. I nuovi strumenti che si dipanano lungo la banchina intaccano i diritti inviolabili della persona, i diritti umani, e allo stesso tempo sperimentano nuove forme di governance della cittadinanza. Nuove norme in materia di immigrazione veicolano forme di controllo i cui destinatari non sono solo i migranti - i nemici per antonomasia - ma anche gli stessi cittadini. La pratiche dellle riammissioni in Grecia occultano un fenomeno di più vasta scala che affonda le radici nella volontà di controllare tutti, a partire e attraverso i migranti. Lo dimostrano d'altronde il carcere, la detenzione amministrativa e le zone di confinamento informali - i parchi, le baracche e i campi all'interno dei quali vivono "clandestini" la cui presenza è tollerata dagli agenti di polizia - reazioni verso le categorie sociali più vulnerabili che rappresentano una campana di sperimentazione del controllo, che si diffonde poi su tutta la società. Fondamentali sono i diritti violati, negati da queste pratiche d'esclusione: dal diritto all'accesso alle procedure di richiesta d'asilo fino a quello - banale ma sacrosanto - di migrare lottando per una vita degna. Pragmaticamente occorre distinguere tra chi fugge dalle guerre e chi migra dalla povertà, ci sono convenzioni differenti e procedimenti che si distinguono per le tutele apprestate; dal lato dei principi e delle pratiche conseguenti, invece, sarebbe bene che si guardasse all'immigrazione in maniera "totale", senza distinzioni, e con il presupposto principale della libertà e del diritto di migrare nelle metropoli come altrove. (dall'introduzione de "Il porto sequestrato") Questa pubblicazione nasce dal lavoro d’inchiesta che l’Osservatorio Faro sul Porto ha portato avanti da maggio 2009 sino ad oggi. Inchiesta che non avrà unadata di conclusione ma che costantemente e meticolosamente continuerà ad operare per la salvaguardia del porto e per il riconoscimento dei diritti di tutti coloro che lo attraversano. Attualmente l’Osservatorio ha sottoposto delle interviste alle figure istituzionali che in diverse forme e con diversi compiti governano l’intera area portuale. Abbiamo scelto questo strumento d’indagine non solo per garantire al nostro lavoro autorevolezza e scientificità nella raccolta dei dati, ma soprattutto per evidenziare le grosse contraddizioni che l’argomento tiene in sé. Cosa significa ciò? Innanzi tutto ricordiamo che questo lavoro nasce all’interno di un percorso politico autonomo ed indipendente che ha le sue radici nell’esperienza attiva dei centri sociali e quindi occupa quello spazio in basso a sinistra proprio dei movimenti sociali che oggi hanno scelto di auto-rappresentarsi e auto-determinarsi nel proprio territorio. Diretta conseguenza è la necessità per noi di poter costruire attraverso questo intervento uno spazio di azione politica che rimetta al centro, la volontà di decisione delle persone nei contesti in cui ogni giorno vivono, producono, consumano… Per questo più volte ci troverete a parlare del porto come uno dei nostri beni comuni attualmente sottratto alla città. Il porto è di tutti e quindi ci sentiamo chiamati in prima persona a far luce sulle trasformazioni che sta vivendo e sulle ricadute locali ed internazionali che determinate scelte politiche stanno provocando. Quindi, volendo tornare alla scelta dell’inchiesta, ci pare una strada percorribile sia per sfatare l’idea che alcuni argomenti non possano essere di competenza delle persone comuni, sia perché ci permette di tirare in ballo alcune figure che oggi più che mai devono assumersi nei confronti della collettività, delle responsabilità per il ruolo che rivestono e per le scelte di cui possono essere complici. Nelle prossime pagine troverete il materiale emerso da questo camminare domandando e ovviamente, le conclusioni che ne abbiamo tratto. Non sarà un lavoro compiuto, né concluso, come dicevamo all’inizio il nostro Faro rimarrà acceso per evidenziare le diverse problematiche che oggi e domani possono emergere. A questa pubblicazione vogliamo fare seguire altri aggiornamenti che da un lato continuino a rendere pubblico il nostro lavoro d’inchiesta e dall’altro denuncino le sistematiche violazioni di cui i migranti, i lavoratori e i cittadini sono vittime. Il volume è composto da due capitoli: il primo “La città e il porto”, il secondo “Il porto che respinge”. Nel primo si è voluto problematizzare la corrispondenza tra la città, intesa non solo come territorio ma anche come sintesi delle attività umane che vi risiedono, ed il porto. Come noterete in seguito il sentimento di attaccamento al porto è alquanto diffuso tra i cittadini anconetani, che oggi non ne accettano la separazione. I motivi che legano così profondamente gli abitanti a questo pezzo di città hanno radici antiche, ragion per cui abbiamo ritenuto necessario fare un breve excursus storico per dimostrarlo. Si noterà come il porto nella sua storia ha sviluppato forti rapporti di reciprocità con la città attraverso i quali l’uno ha permesso lo sviluppo dell’altra e viceversa. Questo capitolo accoglie i contributi di un giornalista anconetano, che per ragioni di riservatezza non ha voluto comparire, e di Sauro Marini. Entrambi i loro pezzi vengono offerti al lettore come testimonianza di chi ha vissuto i cambiamenti che ad oggi hanno escluso la zona del porto alla sua città. Per capire meglio come ciò sia stato possibile abbiamo approfondito le cause che hanno generato l’apparato di sicurezza che oggi regola l’intera area portuale. Siamo partiti dalla genealogia normativa che, come sarà chiaro al lettore, nasce all’interno del diritto internazionale marittimo declinato poi nelle normative europee senza mai precisare alcun strumento di controllo privilegiato. Tale riferimento normativo è per noi fondamentale per evidenziare come il mostro che è stato creato è illegittimo e come sia comunque giusto ribellarsi a tutte le leggi ingiuste. Il secondo capitolo è dedicato agli invisibili, a coloro che quotidianamente sulle rotte della speranza percorrono lunghissimi e disperati viaggi in attesa di essere da qualche parte accolti. Ci rivolgiamo a quel flusso inarrestabile di umanità che per motivi indipendenti dalle loro scelte, fugge per poter ricostruire la propria dignità violata in luoghi diversi da quelli di appartenenza. Questo passaggio è strettamente significativo se consideriamo il porto come frontiera interna rispetto alla città e nello stesso tempo frontiera esterna per chi cerca di approdarvi via mare. Anche in questo caso non si poteva prescindere dalle normative internazionali e dall’attuale legge italiana in vigore sull’immigrazione che molto spesso collimano facendo emergere le contraddizioni di un sistema che predilige investire risorse per reprimere e respingere i flussi migratori piuttosto che articolare sistemi di accoglienza e di protezione per chi quotidianamente mette in gioco la propria vita. Abbiamo appositamente citato alcuni casi che si sono verificati al porto di Ancona quando vengono ritrovate persone che viaggiavano nascoste nei tir. È purtroppo, questo, un fatto che accade quotidianamente sotto casa nostra senza che noi ne possiamo prendere atto, se non il giorno dopo dai giornali quando i migranti sono già stati respinti. La barriera imposta dalle reti sicuramente, invece che avvicinarci a loro, ci allontana così tanto da mantenerli nella loro invisibilità. Abbiamo citato, in ultimo, il caso di Patrasso perché la maggior parte di loro da lì parte e lì ritorna dopo essere stati respinti.. Cosa li aspetta a Patrasso? Come vengono trattati dalle autorità locali? Qual è la prassi con cui si scontrano in Grecia? Interrogativi a cui abbiamo risposto riportando le testimonianze raccolte dall’Ambasciata dei Diritti con l’aiuto di organizzazioni greche con cui sono state intrecciate reti di solidarietà per lottare uniti contro le discriminazioni, il razzismo e l’ignoranza diffusa. Osservatorio Faro sul Porto Ambasciata dei diritti Marche Info: farosulporto@gmail.com ambasciata@glomeda.org ambasciatadeidiritti@inventati.org www.globalproject.info