Recensioni
Più che un semplice libro, un cammino compiuto
L'Ora della Calabria, martedì 22 ottobre 2013 - “Con voce sommessa” (Alfonso Curto, Edizioni Coessenza) non è un semplice libro, no, è un cammino compiuto, proprio perché chi lo ha scritto non c’è più.
Cos’è un cammino una volta compiuto? È la strada su cui passo dopo passo abbiamo poggiato i nostri piedi e parla del nostro personale e prezioso senso. La direzione presa saprà dirci anche qualcosa dei territori conquistati dal cuore a forza di battiti, di incontri, di cadute, di fini e di inizi.
Alfonso Curto ci accompagna per mano nella sua vita, lui giovane e poi maturo; il punto da cui osserva e parla, cambia negli anni e così cambia anche la sua scrittura come un alberello che si muove delicato ai primi venti e poi quercia sa ascoltare tra i rami cos’ha da dire il vento. Ci sono tutti i colori del carnevale della Vita, dai più vividi e dolci, ai più tenui e melanconici. Ci sono parole capaci di contenere un sentimento, l’Amore, che forte lo attraversa: “Era di marzo, tremò il mio cuore al suon della tua voce”. C’è la natura che intorno esplode e pare voler insegnare qualcosa proprio a lui che maestro lo è stato per una vita… “Il vento furibondo/gli alberi umili/la primavera regina che brillerà intatta nelle serre dei cuori “. C’è lo “scrigno del suo cuore”, così definito dal poeta, che contiene ogni persona come pietra preziosa da portare alla luce, come i ragazzi che ha aiutato con la sua passione genuina.
Ci ritroveremo la dolcezza dei suoi ricordi, approdo sicuro: “Me ne andrò per la strada dei ricordi; ritroverò me bambino tra tante emozioni. Rivedrò la mano tremante, incerta sul foglio bianco, ritroverò te accanto sempre pronta, mai stanca. E quando la vita mi turberà amara, infelice, ingrata tornerò da te, maestra per sentirmi bambino, amato, compreso, consolato…”
E ancora, parla dei sentimenti che “irruenti si elevano in cristalli iridescenti,cercano parole tra le righe dell’infinito”, e della sofferenza che “è filtro da cui sgorga amore”.
La percezione viva dell’eterno, della vita che è luce, crea ombre proprio perché luce; la vita non muore, così ci insegna dicendo “Docili creature, siate grate a chi ha bevuto nel calice del distacco”.
È la consapevolezza di chi il suo senso l’ha trovato per strada, mettendo le mani nei giorni, lavorandoli col cuore. Sfogliando queste pagine si ha come la sensazione che quest’uomo continui ad insegnarci qualcosa, ci fa dono di quello che ha raccolto lungo il suo cammino, frutti freschi e una consapevolezza nitida e semplice:
la condivisione ha dentro il senso del rimanere, del propagarsi dell’amore che mai si disperde, riecheggia, non muore.
“Perdonatemi i limiti – scrive Alfonso Curto - appartengono al sapere non al cuore; l’abbecedario può essere recuperato, l’amore per l’altro va vissuto momento dopo momento. Evitate di vivere soli! La condivisione è ricchezza, fa ritrovare l’uomo”!
La sua poetica lascia orme capaci di contenere il piede del bambino e dell’uomo. Siamo un flusso d’emozioni capace di restare, e aspettando infariniamo la sera di poesie amare e sorridenti che della parola morte ne fanno un aeroplanino di carta.
Claudia Ammendola