Recensioni
STORIE DI AMANTEA
FABIO BESALDO E QUELLA SCRITTA (AMANTEA OVUNQUE)-
di Domenico Bilotti
La prima volta in cui ho potuto parlare con l’Autore di “Di Rosso e di Blu” (COESSENZA, Cosenza, 2016) eravamo all’Università di Cosenza. Una vita fa. Un pugno di volenterosi, riuniti in vari collettivi, aveva organizzato un dibattito su ultras e dintorni. Nel contesto universitario, è facile perdere la ragione del proprio impegno: c’è sempre chi preferisce altro. Talvolta si maturano atteggiamenti, preclusioni e pose che non hanno ragion d’essere. Ecco perché le realtà collettive sono, comunque vada, una delle cose più belle dell’università: vanno bene finché creano, e spesso creano, rete orizzontale di relazioni, capacità, posizioni. Quando un ateneo si distacca dalle urgenze sociali del proprio territorio, o coltiva una consapevole aristocrazia multivello (ma de che?), ha già perso la sua battaglia universalistica.
Non correva questo rischio uno dei ragazzi più impegnati in quelle battaglie che si svolgevano ad Arcavacata. Oggi quel ragazzo non c’è più. Per lo Stato, forse. Non certo per chi lo ha conosciuto. Ma questa è decisamente un’altra storia …
Quando Besaldo prese la parola, in quell’assemblea, mi colpirono ancora più del solito i toni scherzosi e sempre garbati. Un apparente contrasto con la stazza fisica e i racconti di tutti i tipi con cui animò almeno mezzora di pensieri in libertà. Quando poi si concesse un guizzo di malinconica ironia, elogiando “odori” e “profumi” del tempo che fu, l’aula gremita venne giù dal ridere e si scatenò un applauso liberatorio. Che il relatore incassò, e ormai non mi sarei aspettato diversamente, in modo dimesso, schietto, asciutto.
Quella sera si parlava del calcio come lo avevamo conosciuto e del calcio com’è diventato. Una particolare attenzione nei racconti dei vari partecipanti era riservata alle trasferte. Le trasferte “vecchia maniera”. Trasferte libere, appunto. Ho fatto in tempo a viverne un pugno che varrà, forse, tra anni la pena raccontare. Prima tra tutte, Verona. Il Bentegodi è uno stadio freddo, alto, distante. E nella mia mentalità adolescenziale Verona rappresentava tutto quello che non avrei voluto dal calcio, l’esatto opposto di come vedevo (e tutti vivevano e vedevano) la tifoseria cosentina. All’epoca, c’era molto di ideologico in questo “distacco”. Forse, oggi ce ne sarebbe di meno. Ma tant’è … Mi persi invece (troppo piccolo) una trasferta a Torino, dove lo scontro coi cosentini fu uno dei tanti episodi di rivalità e contrapposizione all’interno della stessa tifoseria granata (in quel periodo, imbrigliata in un dualismo non sempre componibile tra Ultras Granata e Granata Korps). Recuperai solo in parte anni dopo, quando un lavaggista me la raccontò per filo e per segno, compresa l’ingenuità che regalò la vittoria al Torino, per un evitabilissimo fallo di mano.
“Di Rosso e di Blu”, rispetto a tutte le altre volte in cui ho sentito parlare Besaldo dal vivo, è ancora più ampio, sistematico e aneddotico insieme: c’è l’episodio specifico, vissuto da una comitiva o da un singolo, e c’è la considerazione di carattere generale. Che parte sempre e comunque da Amantea e dalla gioiosa cricca che per trent’anni (e per altri mille a venire) si è intestata l’orgoglio di portare la sciarpa rossoblu ovunque, e tutti gli stili e tutti i valori che a quella sciarpa i ragazzi amanteani hanno deciso di associare.
Difficile distinguere Fabio Besaldo e la sua prosa calorosa, da rude cantastorie indomito, da ciò che riguarda gli ultras di Amantea, tanto l’uno crede negli altri quanto gli altri credono in lui – e forse il verbo credere neanche basta nel caso concreto.
La ragione è semplice: dal 1986 ad oggi (e per altri mille anni a venire, ricordiamolo) gli ultras amanteani al seguito del Cosenza hanno sovvertito un immaginario preesistente e ne hanno imposto un altro, magico, creato assolutamente e autenticamente da loro. Difficile spiegare altrimenti quando la sera, ai lidi del lungomare della splendida Amantea, senti parlare ragazzi di quindici, sedici anni e spunta qua e là la parola “professore” in bocca a qualcuno e capisci subito che si sta parlando di lui.
Difficile spiegare altrimenti il vero e proprio culto tra i giovani e meno giovani amanteani , che ho verificato di persona, verso gruppi anglofoni della fine degli anni Settanta e dell’inizio degli anni Ottanta. Stranglers, Clash, U2, Madness … te li trovi nei murales, nelle scritte spontanee e pure in quelle meno riuscite artisticamente, nei pub e nei locali, nelle macchine che passeggiano solitarie su quel magnifico lungomare anche a Dicembre inoltrato.
E gli amanteani hanno molto trasmesso anche alla tifoseria cui appartengono. Ad esempio: impegno in prima linea contro la tessera del tifoso – non tanto per reiterare tiritere già sentite sull’ingiustizia, l’inutilità e l’incostituzionalità della tessera, quanto piuttosto per esprimere, ancora una volta, un modo di essere, connesso a quelli altrui eppure, o proprio per questo, sempre autonomo. La fiera fratellanza con la tifoseria atalantina, ma anche altre realtà meno note e meno cospicue, che hanno imboccato, fosse solo per gruppi e non coinvolgendo l’intera tifoseria, le medesime strade (i ragazzi non tesserati di Lanciano).
E a proposito di muri di Amantea: quante scritte a favore dei bergamaschi. Una quantità di note che crea un racconto popolare sull’empatia tra realtà separate da uno Stivale intero. Cose del genere le ho viste soltanto a Genova, non a caso piazza di un’altra grande amicizia della tifoseria cosentina e terra dove due curve, due squadre, due maglie, si fronteggiano orgogliosamente tutto l’anno, ma parimenti esprimendo un tifo e un attaccamento che altrove ce n’è poco.
Gli ultras di Amantea portano in giro la loro città e cambiano le cose. Un luogo sul mare, distante dalla geografia abituale del tifo rossoblu, almeno fino alla loro nascita, anzi, più incline al giallorosso, ecco che diventa la patria per antonomasia di quella provincia profonda (Panettieri, Scalea, Cittadella, costa jonica in tutte le sue forme, estremo Nord ed estremo Sud) che è stata unita dallo stadio e dai gruppi, molto più che dalle infrastrutture penose o dalla disastrosa scena politica.
Mentre leggevo “Di Rosso e di Blu” spulciavo Facebook con poca convinzione. Un surplus di attenzione scattò proprio quando vidi che l’Autore ci dava notizie di una sua fase di salute non proprio entusiasmante, anzi, molto sofferta.
Mentre queste righe vengono alla luce, speriamo che malesseri e noie siano definitivamente alle spalle. Per Amantea e per quell’amore smisurato che ha saputo esprimere verso una maglia, una città e una bandiera per tutti questi anni (e mille ancora a venire). Prima, durante e dopo.
https://trasfertelibere.wordpress.com/2016/12/20/storie-di-amantea/